Intervento di Luca Scacchi all’Assemblea generale FLC CGIL, Roma, 21 novembre 2025.
Care compagne e cari compagni,
ho avuto l’impressione che nella relazione di Gianna [Fracassi, segretaria generale FLC, ndr], e nei due interventi che mi hanno preceduto [Monica dall’Emilia Romagna e Patrizia da Messina, ndr] sia mancato un elemento importante che deve guidare la nostra riflessione e la nostra azione nei prossimi mesi. Mi sembra, cioè, che questa nostra discussione sia in qualche modo monca, perché non tiene in considerazione la straordinaria mobilitazione che abbiamo conosciuto su Gaza, il genocidio e la Global Sumud Flotilla. Quello che è mancato, cioè, è la possibilità e l’obbiettivo di riattivare una nuova stagione di partecipazione e conflitto in questo paese.
A settembre e ottobre abbiamo visto un movimento di massa, una marea per forma e dimensioni, che ha avuto il suo cuore nei settori della conoscenza. Questa mobilitazione, infatti, si è sviluppato ed è lievitata nella scuola, nell’università e nella ricerca. Non è solo il fatto che sono ripetutamente scese in piazza centinaia di migliaia di persone, se non milioni. Questa espressione di massa si è sviluppata attraverso forme e percorsi di attivazione diffuse e autorganizzate. Gli scioperi e i cortei sono infatti arrivati dopo che in centinaia di scuole, forse migliaia, si sono ripetuti i minuti di silenzio all’apertura delle lezioni, sono apparse bandiere e spillette della Palestina, sono state approvate mozioni e documenti dai Collegi docenti, mentre in università ed enti di ricerca si sono moltiplicati gli appelli e le prese di posizione contro attività e collaborazioni con istituzioni, università ed enti israeliani. In molte città (penso ad esempio a Roma, Livorno e Bologna), sono nate assemblee o anche solo chat di scuole o docenti per la Palestina, che hanno coinvolto centinaia e centinaia di RSU, insegnanti, lavoratori e lavoratrici. La partecipazione straordinaria delle settimane successive si è strutturata su queste dinamiche diffuse, esprimendosi poi nelle piazze con un protagonismo diretto delle scuole, degli istituti, di lavoratori e lavoratrici al di là di ogni inquadramento di organizzazione. Questo, cioè, per quanto breve e improvviso, è stato proprio un movimento di massa.
La FLC e la CGIL hanno fatto fatica a capire questa dinamica. Hanno fatto anche degli errori. Penso ai presidi del 6 settembre organizzati in alternativa a quelli del circuito GSF. Penso allo sciopero del 19 settembre chiamato in alternativa a quello del lunedì successivo: un’iniziativa di organizzazione e per di più parziale, con l’esclusione proprio dei settori più coinvolti nel processi di attivazione, quelli della conoscenza.
La FLC e la CGIL hanno anche avuto la capacità di vedere e correggere questi errori. Credo sia non solo giusto ma anche importante sottolinearlo. Lo hanno fatto, per prime e da soli/e, i nostri delegati e le nostre delegate, le RSU della FLC, che insieme ad attivisti ed iscritti hanno partecipato e anche organizzato la partecipazione allo sciopero del 22 settembre, stando in quella marea e dandogli forma. Lo abbiamo poi fatto anche come organizzazione, non solo proclamando lo sciopero unitario del 3 ottobre, ma riconoscendo esplicitamente che ci stavamo in un ottica di convergenza, al servizio dello sviluppo del movimento e quindi come parte di parte. Ringrazio allora Maurizio [Landini, presente all’Assemblea Generale, ndr] per il coraggio e la determinazione nell’esplicitare questa impostazione partecipando alla conferenza stampa unitaria alla Camera per il tre ottobre, rompendo così prassi e persino tabù della nostra organizzazione. È stato importante. Ringrazio anche la FLC, e in particolare Gianna [Fracassi, ndr], per aver colto l’importanza che lo sciopero della scuola fosse formalmente proclamato ai sensi della legge 146, impegnandosi quindi per quell’obbiettivo in quei giorni complicati, arrivando infine tutti a convergere sull’iniziativa del SiCobas. Tutto questo non era per nulla scontato.
La necessità di un movimento di massa. Sottolineo oggi queste cose perché penso che per sconfiggere le politiche di questo governo reazionario e cambiare le cose, per conquistare salari, diritti e servizi universali (scuola, sanità e trasporti), noi avremo bisogno di un nuovo movimento di massa. So benissimo che oggi la marea è al momento refluita. Però, una svolta politica e sociale in questo paese ha bisogno di sorreggersi proprio su una nuova partecipazione di massa. Senza la determinazione di una nuova marea, capace di imporre in modo travolgente unità e radicalità, in grado di superare i confini ed anche i limiti della nostra prassi sindacale, noi non saremo in grado di sconfiggere la politica reazionaria di questo governo. Guardate, non solo secondo me non si riesce a batterla, ma se per un qualunque caso o fortunata dinamica degli eventi, questo governo fosse logorato e scompaginato da manovre parlamentari o altre dinamiche politiche, temo proprio che anche un possibile cambio di maggioranza non comporti in sé svolte nelle politiche economiche e sociali del paese. Lo vedo proprio a partire dal mio settore, dall’università, dove la riflessione e l’azione di quella che è l’attuale opposizione parlamentare non mostra reali segni di discontinuità rispetto le politiche di sistema degli ultimi vent’anni. La mia impressione è che il cosiddetto Campo largo non ha mai fatto veramente i conti con le scelte e le prospettive liberali che hanno agito le sue principali forze quando sono state al governo (a partire da PD e 5 Stelle). Scelte e prospettive che infatti le caratterizzano anche oggi, quando gestiscono qualche amministrazione. Per invertire la corrente, allora, serve una soluzione di continuità, serve un movimento di massa che segni le dinamiche sociali e politiche di questo paese, serve che la sconfitta del governo sia agita da questo movimento di massa.
Certo, oggi questo movimento è rifluito. Proprio per questo, mi viene da dire, dobbiamo essere consapevoli della sua importanza. Proprio per questo dobbiamo sforzarci di ricostruirne le condizioni. Per questo reputo un errore la scelta dello sciopero il 12 dicembre. Per i suoi tempi (più vicini alle vacanze che alle scelte sulla legge di Bilancio), ma soprattutto per la sua forma, uno sciopero di organizzazione e di programma, utile a ribadire soprattutto le rivendicazioni della CGIL. Un sindacato generale in questa stagione dovrebbe avere al centro della sua attenzione e della sua iniziativa soprattutto l’obbiettivo di ritessere una mobilitazione di massa. Per questo ho ritenuto necessario che la CGIL proclamasse uno sciopero di convergenza il 28 novembre, dando il segnale di pensarsi ancora parte di parte, guardando prioritariamente all’unità delle mobilitazioni. Per questo ritengo comunque importante che entrambi gli scioperi siano un successo: penso che la FLC potrebbe e dovrebbe scioperare anche il 28 novembre sul contratto, in ogni caso ritengo utile ci sia una buona partecipazione a entrambi gli appuntamenti. Per questo ho ritenuto utile l’assemblea nazionale alla Sapienza lo scorso 15 novembre e la proposta di una partecipazione sociale e convergente alla giornata e anche al corteo del 29 novembre a Roma. Per questo ritengo che la FLC dovrebbe stare in questo percorso e quindi anche in quella giornata del 29 novembre, dando il proprio contributo attivo alla declinazione sociale e convergente di quella giornata. Insieme, spero, ad altre strutture della CGIL.
La scelta di non firmare il contratto collettivo nazionale è giusta. Anzi, più che giusta: fondante. Fondante, perché in qualche modo apre una nuova stagione, una nuova prassi, un nuovo percorso per il nostro sindacato. Gianna, credo, lo ha sottolineato nella relazione: non siamo semplicemente di fronte ad una politica contrattuale nella scuola, nell’università e della ricerca: ad una specifica scelta o forzatura su questo o quell’aspetto dell’organizzazione del lavoro o della struttura salariale nei nostri settori. Siamo di fronte alla decisione di tagliare i salari reali del pubblico impiego di oltre il 10%, non recuperando l’inflazione e creando una frattura con il resto del lavoro. Soprattutto, siamo di fronte alla scelta di imporlo costruendo relazioni privilegiate solo con quei soggetti che si predispongono ad una logica sussidiaria. I contratti separati sono cioè agiti in tutta la pubblica amministrazione (funzioni centrali, enti locali, sanità e istruzione-ricerca), forzando prassi, logiche di rappresentanza e dinamiche della contrattazione. La scelta di non sottoscrivere l’ipotesi di accordo sul CCNL 2022/24, allora, non è solo inevitabile, nella scia degli altri accordi non sottoscritti nelle scorse settimane, ma si pone in un orizzonte di contrasto di questo tentativo generale. Non si firma per opporsi al tentativo di distorcere il ruolo stesso delle organizzazioni sindacali, che viene non casualmente oggi da un governo reazionario che mostra su diversi terreni sempre più evidenti tentazioni autoritarie (sicurezza, giustizia, educazione). Proprio questa scelta, allora, è appunto fondante una modalità diversa di intendere l’organizzazione, la prassi e la rappresentanza sindacale.
Io credo che noi dobbiamo assumere pienamente questo cambio di fase. La mancata sottoscrizione non è un passaggio incidentale nella nostra azione sindacale: non può cioè essere vissuto come una parentesi, che bisogna semplicemente far scorrere nell’ottica di rientrare quanto prima ai tavoli di contrattazione. Non può esserlo non semplicemente per un problema di nostra volontà, ma perché il governo e la controparte (l’ARAN) stanno agendo proprio un tentativo di stravolgere la contrattazione sindacale. Io credo che noi dobbiamo assumere sino in fondo il profilo politico e generale di questa azione, il tentativo di subordinare le organizzazioni sindacale, la necessità da parte nostra di condurre con determinazione un conflitto contro questo modello di considerazione e contrattazione del lavoro. Lo dico chiaro, io vedo troppa paura e timidezza tra le nostre file: percepisco sconcerto, timidezza e difficoltà a condurre la polemica con le altre organizzazioni, timore a costruire le assemblee e coinvolgere lavoratori e lavoratrici. Certo, capisco le difficoltà di questo cambio di fase. I problemi, i rischi, i pericoli dell’isolamento dalle altre organizzazioni e dell’esclusioni dalle prossime contrattazioni integrative. Sono le difficoltà di cui hanno parlato prima di me Monica e Patrizia, gli spazi che si aprono per gli altri sindacati, la possibile solitudine dei nostri delegati e delegate (soprattutto con dirigenti e amministrazioni che possono essere o diventare particolarmente aggressive). Però, ritengo sbagliato fantasticare su ipotesi di veloci rientri o cercare oggi strategie tecniche di ritorno ai tavoli, innescando così un clima generale di sospensione e attesa di questo possibile ritorno. I prossimi mesi sono invece i tempi della costruzione del conflitto e su questo dobbiamo concentrare attenzione e impegno.
Noi allora dobbiamo vivere questa stagione come un’occasione. Noi dobbiamo cioè cogliere la possibilità di costruire in questa nuova fase una diversa prassi collettiva, facendo lievitare responsabilità, consapevolezza e autorevolezza delle rappresentanze sindacali nei posti di lavoro. So che è difficile, perché ci dovremo confrontare con diffuse inerzie sociali, con la complessità della costruzione di una partecipazione di lavoratori e lavoratrici. Una difficoltà che nei nostri settori è evidente soprattutto sulle questioni contrattuali. Però, in questi mesi, proprio queste politiche contrattuali si intrecciano e si saldano con interventi di sistema, volti a disciplinare il lavoro, gerarchizzare le strutture, estendere il precariato, imporre logiche classiste e autoritarie a scuola, università e ricerca. Penso alle iniziative di Valditara, al DdL Gasparri, alle prospettive della legge delega recentemente approvate dal Parlamento (revisione degli organi collegiali nelle scuole, della governance negli atenei, dello stato giuridico in Afam o Enti di ricerca). Allora, il contrasto a questa politica contrattuale del governo, al tentativo di isolarci ed escluderci, non può che intrecciarsi alle mobilitazioni che stiamo costruendo contro questa svolta reazionaria nei settori dell’educazione, sviluppando oggi un sindacato di resistenza proprio con quello spirito unitario, di convergenza e servizio, che abbiamo mostrato lo scorso tre ottobre. In questi mesi ho spesso chiuso i miei interventi nel precariato universitario sottolineando che è tempo del conflitto, è tempo della convergenza. Oggi io credo proprio che lo sia anche per tutti noi. È il tempo di resistere a questa operazione politica di destrutturazione della rappresentanza sindacale e della contrattazione, guardando a quella partecipazione, quell’unità e quella determinazione che abbiamo conosciuto nelle settimane di mobilitazione dello scorso settembre e ottobre.
Luca Scacchi