AG FLC: Grilli. Quale via per la CGIL.

Intervento di Monica Grilli, Assemblea generale FLC CGIL, on line, 10 luglio 2025.

Noi rischiamo moltissimo come organizzazione e abbiamo l’urgenza di dare risposte a chi ci rappresenta. A mio avviso, il cuore della nostra discussione odierna risiede nelle due affermazioni pronunciate dalla nostra segretaria, le quali, inevitabilmente, toccano anche aspetti organizzativi e dinamiche politiche interne.

Il nodo cruciale è questo: noi dobbiamo dare risposta a chi ci rappresenta perché la nostra forza e la nostra esistenza è strettamente legata proprio a chi ci rappresenta. Mi ricollego in questo al referendum. Io, personalmente, non ho mai creduto che quello fosse lo strumento più adatto per difendere il lavoro, perché la domanda “vogliamo difendere il lavoro?”, noi l’abbiamo fatta, nel percorso referendario, anche a chi fa del lavoro un elemento di sfruttamento, anche a chi ha tutto l’interesse nel licenziare, a chi ha tutto l’interesse a tagliare i salari. Ma se facciamo la tara e andiamo un passo oltre, non si può negare che, comunque, quel percorso abbia portato 15 milioni di persone ad esprimersi e ad andare a votare. Ovvero, noi siamo riusciti ad intercettare 15 milioni di persone. È un dato che non può essere ignorato, e che rappresenta un patrimonio di valore irrinunciabile.

Quindi, il “che fare” diventa dirimente. Non mi ripeterò su questioni come il contratto, la condizione salariale, il lavoro povero che penetra anche nei settori della scuola poiché sono state già ampiamente dibattute. Ma vorrei condividere con voi alcune riflessioni.

Noi fino a qualche anno fa siamo stati estranei a questa concezione del lavoro povero nella nostra categoria; mi ricordo anni fa interventi di colleghe che si sentivano iper-garantite e facevano fatica a mobilitarsi poichè si sentivano più fortunate di chi lavorava in fabbrica o di chi lavorava in condizioni peggiori. Al contrario, oggi noi abbiamo sicuramente una condizione di lavoro povero anche nel nostro settore. Che cosa dire in merito all’aumento delle diseguaglianze e della povertà? Basta fare un tour nelle periferie delle città per rendersi conto che la situazione non è che sta sfuggendo di mano, la situazione è già sfuggita di mano e le condizioni sui luoghi di lavoro le conosciamo tutte.

Vorrei ancora portare la vostra attenzione anche al tentativo di attaccare il sistema della cultura da parte del Governo. Qualche settimana fa il ministro Valditara ha richiesto delle informazioni, ha cercato di fare delle verifiche su un testo di storia della scuola superiore che a suo dire conteneva informazioni faziose. Questo rappresenta un attacco alla cultura, alla libertà di stampa e alla libertà di insegnamento ed è l’anticamera della censura. Fortunatamente la casa editrice Laterza ha dato una risposta netta, ma questo è un elemento che ci deve far riflettere, perché è un elemento che spaventa, è un elemento che chiude.

Ho tenuto per ultimo la questione delle spese militari, dell’aumento al 5% del Pil che impegneremo come Stato nel riarmo. Ora, i numeri sono vuoti, sono astratti, ormai siamo subissati da numeri, ma cosa significa in concreto questo 5%? Noi spenderemo 100 miliardi per il riarmo e per le spese militari, quindi 70 miliardi in più di quello che spendevamo prima, cioè un sesto del totale delle spese sociali, cioè un terzo del totale delle spese su sanità, scuola e welfare. Questo significa declinando ancora, spacchettando ancora, traducendo ancora affinché le persone si possano rendere conto di che cosa si paventa da qui al nostro domani, che ad ogni persona, in diversi modi, attraverso le tasse, i tagli del welfare, la contrazione dei salari, ecc.., verranno prelevati 1.400 euro. In questo modo, una famiglia media ci rimetterà circa dai 4 ai 5 mila euro all’anno. Concludendo, il Governo aumenta la spesa che ci porta in guerra e noi, la classe, visto che è stata citata la lotta di classe, mi permetto di riprendere questo concetto che mi sembra più attuale che mai, noi, lavoratori e lavoratrici, finanzieremo con la nostra pelle la guerra e questo mi sembra un elemento inaccettabile.

La questione, qui in questa sede, non è che cosa faccia il Governo, perché io non ho nessuna fiducia in questo Governo, ma è che cosa facciamo noi. Sappiamo molto bene che la risposta dovrebbe essere data a livello politico, ma sappiamo anche molto bene quali siano le condizioni dei partiti politici all’opposizione e della loro totale assenza di risposte. In questo panorama ci siamo solo noi, la Cgil, l’unica organizzazione, l’unica grande organizzazione rimasta in piedi, in grado di difendere e tutelare i diritti di lavoratori e lavoratrici. E allora, arrivando alla conclusione, noi oggi per preservare e per coltivare quel patrimonio di 15 milioni di persone che si sono espresse con nettezza contro questa politica, non possiamo certo chiuderci al nostro interno e metterci a discutere di questioni organizzative.

Una discussione tutta interna sarebbe un errore, perché le lavoratrici e i lavoratori aspettano risposte concrete. Ma rappresenterebbe un errore anche al nostro interno perché l’organizzazione oggi ha la necessità di stare sui territori con la mobilitazione e non di ripiegarsi al suo interno.

Oggi, più che mai, noi abbiamo l’esigenza di praticare la mobilitazione, continuare a dare una prospettiva perché chiedendo le firme per il referendum noi abbiamo dato una prospettiva a quelle lavoratrici e a quei lavoratori e se noi oggi non continuiamo su quella via, non rendiamo concreta quella prospettiva, ci sarà un effetto delusione che non potrà far altro che innescare un meccanismo di ripiegamento ulteriore dei lavoratori. Io non sono convinta che i luoghi di lavoro siano affetti dalla patologia dell’individualismo, ma credo che i lavoratori siano demotivati, sfiduciati. Si sente sempre più spesso tra le persone ripetere come un mantra l’affermazione “non c’è più niente da fare”, ma questo è il frutto anche di strategie, errori, percorsi, mettiamola come vogliamo, che noi oggi non possiamo non vedere e che dobbiamo cercare di correggere per evitare la disfatta.

Quindi, ritengo che oggi non ci sia l’esigenza oggi di fare un congresso straordinario, una conferenza di organizzazione. Per contro, ritengo che oggi non si possa lasciare la popolazione di questo Paese nel silenzio di fronte alla guerra, al genocidio in diretta, al riarmo e che oggi l’esigenza che si profila per l’autunno è chiara. In queste misere condizioni in cui ci stanno portando, c’è e ci sarebbe tutto il terreno ideale per chiamare il Paese allo sciopero generale! Grazie.

Monica Grilli