AG FLC: un’analisi condivisibile, un intervento inadeguato, la necessità di uno sciopero contro il DEF

Grazie Giusto [Scozzaro, Presidente dell’AG FLC],
come alla scorsa Assemblea generale, sottolineo l’accordo di fondo sull’analisi tracciata dalla relazione di Gianna [Fracassi, segretaria generale FLC]. Una condivisione devo dire anche convinta della descrizione del quadro complessivo della situazione in cui siamo. La CGIL, infatti, deve affrontare non solo un attacco profondo alla democrazia, un’ipotesi di profonda svolta autoritaria [il premierato e l’autonomia differenziata], non solo le classiche politiche economiche della destra, ma un progetto di trasformazione di fondo di questo paese. Un progetto che mette in discussione la stessa tenuta di un organizzazione confederale come la CGIL, perché per dirla con parole mie, cambia la nostra struttura produttiva e sociale, combinando la crisi economica dell’ultimo decennio, la nuova competizione internazionale tra blocchi, l’offensiva padronale nei rapporti di produzione, delineando una via bassa della crescita economica, che si concretizza in un accentuato sfruttamento del lavoro e in una cancellazione del ruolo dei sindacati [se non nella funzione ancillare dei sindacati aziendali o comunque sussidiari alla produzione: una modello sindacale a cui oggi si presta sostanzialmente la CISL].

Questo progetto di trasformazione sociale ha un diretto impatto anche nei settori della conoscenza. Lo si tocca con mano in alcune politiche di settore di questo governo: la revisione della scuola tecnica e professionale secondo un modello duale o le classi differenziali proposte oggi da Valditara. Le sue proposte non hanno solo un valore politico ideologico, ma rappresentano il tentativo concreto di allineare la struttura della scuola esattamente alle esigenze di gerarchizzazione del mercato del lavoro di questo modello produttivo. E qui sono anche molto d’accordo con la sottolineatura che Gianna ha fatto sulla questione della ricerca di base, in relazione al documento sulle politiche industriali della CGIL. La difesa della ricerca di base non è solo la difesa dell’autonomia e della libertà di ricerca, ma pone il problema di quale modello sociale e quale modello produttivo vogliamo proporre.

Sono anche molto d’accordo con le considerazioni che sono state avanzate sulle università telematiche.  Lo dico rapidamente, per questioni di tempo: non è solo che, come dire, sono coinvolto in prima persona nell’organizzazione dell’iniziativa del prossimo 26 marzo, ma questo passaggio è importante perché collochiamo un’analisi e una critica delle derive del sistema universitario nel pieno del dibattito politico istituzionale sul tema. E poi perché proviamo a orientare l’insieme della Cgil sui rischi di degrado e frammentazione di sistema che si stanno producendo. In questi anni molte strutture della Cgil non si sono rese conto di cosa sta succedendo e in maniera acritica, inerziale, si sono convenzionate con atenei telematici per promuovere i loro percorsi didattici, con il peggio dell’università telematiche. Non si sono rese conto dei cambiamento di qualità che stavano avvenendo nel sistema universitario attraverso non solo e non tanto la proposizione di un modello formativo a distanza, quanto per lo sviluppo di un modello universitario profit. Io credo che sia importante che noi il 26 non solo ragioniamo con la Confederazione ma diamo un segnale nel dibattito pubblico, nel mondo accademico e in quello politico che sta guardando proprio in questi mesi più da vicino cosa accade in questi atenei.

Rispetto alla relazione, rispetto alla proposta di iniziativa generale che avanziamo, io però credo ci sia un problema. Come ho e come abbiamo già sottolineato alla scorsa Assemblea generale, la risposta che diamo propria alla gravità della situazione complessiva è gravemente insufficiente. È sbagliata. Lo scorso autunno, in estremo ritardo ma finalmente con chiarezza, abbiamo aperto una mobilitazione contro le politiche reazionarie di questo governo, abbiamo costruito gli scioperi generali di novembre. Come gli scorsi anni, però, non diamo continuità e sviluppo a questa iniziativa di mobilitazione, ed anzi proviamo a cambiare passo, spostando il baricentro su nuove e ripetute manifestazioni nazionali, su nuove raccolte firme e referendum. Invece che approfondire e accelerare l’iniziativa, la rallentiamo e la diluiamo.

In primo luogo, secondo me non cogliamo pienamente un clima sociale che forse sta cambiando. Lo abbiamo visto nella piazza di Milano del 24 febbraio, nella manifestazione nazionale contro il massacro che sta avvenendo a Gaza, che a raccolto inaspettatamente non solo decine di migliaia di persone (20, 25mila, forse 30mila), ma ha visto soprattutto protagonisti moltissimi giovani e giovanissimi, con una radicalità e una determinazione inattesa. La stessa partecipazione, determinazione e radicalità che in questi giorni abbiamo visto nelle piazze di Pisa, nelle migliaia di giovani, di cittadini, di lavoratori e lavoratrici che si sono più volte mobilitati contro i manganelli e contro il divieto di manifestare sulla Palestina. Certo, questi sono segnali, situazioni contingenti e parziali, che ci parlano però di una dinamica di risveglio sociale inatteso, di una disponibilità e di un’attivazione delle giovani generazioni a cui credo noi come categoria dobbiamo essere particolarmente sensibili, proprio perché siamo quella per certi versi più di frontiera rispetto a loro. Da questo punto di vista considero arretrato il dibattito che abbiamo avuto in categoria sull’Otto Marzo, proprio perché non abbiamo colto e non abbiamo messo al centro della nostra riflessione la grande novità di questi mesi, lo sviluppo di un grande movimento di massa contro la violenza sulle donne, le politiche della destra di governo e le norme sociali patriarcali. Un movimento cresciuto con Nonunadimeno ed esploso lo scorso novembre, con la morte di Giulia, che ha coinvolto soprattutto giovani e giovanissime generazioni. Positiva, da questo punto di vista, la scelta della segreteria nazionale FLC di proclamare lo sciopero nazionale per tutto il settore dell’istruzione e della ricerca, proprio per un’interlocuzione rispetto a queste dinamiche di movimento.

In ogni caso, il problema è l’asse dell’iniziativa che abbiamo scelto di condurre nei prossimi mesi. Io sottolineo, come dire, il rischio, la probabilità che l’iniziativa decisa dall’Assemblea generale CGIL l’altro ieri ci porti fuori strada. Abbiamo deciso tre cortei nazionale in rapida successione (9 marzo sulla pace, aprile forse con la UIL su fisco e sanità, maggio di rilancio della via maestra), una campagna di raccolta firme su molteplici referendum e leggi di iniziativa popolare la prossima estate. Iniziative impegnative, sul piano delle energie e delle risorse, che però rimandano la ripresa dello scontro con il governo su salario e sulle politiche economiche. La stagione degli scioperi generali viene così rimandata all’autunno (nella prospettiva del quarto sciopero generale contro la legge di bilancio consecutivo, nell’isolamento rispetto altre mobilitazioni).

La centralità della questione salariale. Gianna lo ha richiamato nella sua relazione. In questi ultimi due o tre anni abbiamo perso una quota significativa di salario e su questo la CGIL, noi, dobbiamo giocare un ricompattamento del lavoro. Guardate, quello che sta accadendo è da tempo altro. Ogni settore, ogni categoria, sviluppa dinamiche contrattuali diverse e disarticolate, differenziando tra loro non solo gli stipendi ma la stessa struttura salariale. Così sta avvenendo anche con l’inflazione: ogni settore e ogni CCNL affronta in modo diverso il problema del recupero salariale, non solo nelle quantità (molto diverse tra Legno, Bancari, Chimici, Metalmeccanici e Pubblici), ma anche prevedendo tempistiche dei contratti e sistemi di recupero tra loro differenti. Questa dinamica rischia di moltiplicare le divisioni del lavoro, di indebolire strutturalmente la base sociale di un’alternativa, quindi di moltiplicare la fragilità dell’iniziativa della CGIL e di ogni opposizione a questo governo. Il problema non è che i contratti sono un nostro terreno privilegiato. Il problema è che sulla questione del terreno salariale noi dobbiamo ricostruire l’unità e la compattezza del mondo del lavoro, oggi diviso all’interno di un sistema produttivo frammentato. Questa è oggi la nostra priorità.

E allora, e chiudo, secondo me rimane necessario uno sciopero generale sul DEF ora, il prossimo mese. Uno sciopero dell’istruzione e ricerca, se non di tutto i pubblici, sostenuto da tutta la CGIL, anche con un’iniziativa che si allarghi ad altre categorie. Il DEF [Il documento di programmazione economica e finanziaria del governo], infatti, inevitabilmente confermerà che le risorse per adeguare gli stipendi dei pubblici all’inflazione non ci sono, ed i prossimi rinnovi dei contratti (2002/2024) vedranno risorse per meno di un terzo dell’inflazione reale (5-6% nel complesso, con una parte che il governo vuole distribuire in modo premiale, rispetto ad un’inflazione IPCA del triennio di oltre il 17%, un indice depurato di oltre il 13%). A primavera va data una risposta di mobilitazione e di lotta, non il prossimo autunno, quando sarà troppo tardi.

Luca Scacchi