La necessità di uno sciopero dell’Istruzione e Ricerca per aprire la primavera

Breve resoconto dell’AG FLC del 22 dicembre 2023.

Venerdì 22 dicembre si è tenuta on line l’Assemblea Generale della FLC CGIL. Al centro del confronto, due questioni: il proseguo dell’iniziativa sindacale (dopo lo sciopero generale scomposto delle scorse settimane) e l’ipotesi di rinnovo del CCNL della Formazione professionale.
Il primo punto è stato aperto da una relazione di Gianna Fracassi (segretaria generale FLC) che ho sottolineato il quadro mondiale di questa stagione politica (7 ottobre e Gaza, guerra in Ucraina, crisi ecosistema), l’azione trasformativa e profondamente reazionaria del governo Meloni (revisione Costituzionale sul premierato, autonomia differenziata, politiche fiscali, scuola duale, salario minimo e delega sulla contrattazione), le potenzialità e i limiti dello sciopero generale, la necessità di proseguire l’iniziativa sino alla fine della primavera con una nuova, capillare, campagna di assemblee in tutte le scuole, gli atenei, gli enti e gli istituti, oltre che proseguendo la Carovana contro l’autonomia differenziata.
Il secondo punto è stato aperto da una relazione del responsabile della Struttura di Settore sull’ipotesi di CCNL, che ha presentato i punti salienti del rinnovo della Formazione Professionale: il decennio passato dall’ultimo rinnovo (2012), la disarticolazione regionale cresciuta in questo vuoto, l’impegno FLC per il rinnovo, la conquista per questo impegno di un rinnovo quadriennale con biennio economico (tornando al modello pre-2009) e di un 5,3% di aumento (dopo una proposta iniziale dell’1% per le parti datoriali), il problema della definizione dell’orario sentito da molti compagni e compagne RSU e della Struttura di Settore.
L’area Radici del Sindacato è intervenuta con due compagni [Francesco Locantore e Luca Scacchi] e ha quindi votato contro la risoluzione conclusiva presentata dalla segretaria nazionale FLC (per l’assenza di una proposta di sciopero di categoria entro il DEF, per la previsione di conclusione a fine maggio della nuova campagna di assemblee), [3 contrari] e quindi votato contro al dispositivo di sottoscrizione del CCNL della Formazione professionale (con una dichiarazione di voto che ha sottolineato gli elementi positivi del rinnovo e delle sue scadenze, ma la pesantezza della perdita totale non solo dei dieci anni di assenza contrattuale, ma in particolare dei due ultimi anni di alta inflazione, oltre che una pesante ridefinizione degli orari, che obbliga di fatto ad un aumento degli orari di insegnamento diretto superiore al 20%) [9 contrari, per un voto contrario anche di compagni di Torino, motivati da dichiarazioni di voto parallele e convergenti].

Intervento di Luca Scacchi

Grazie Giusto [Scozzaro, presidente della AG FLC]. Saluto tutti i compagni e le compagne.
Gianna [Fracassi, segretaria generale FLC] nella sua relazione ha tracciato un quadro cupo dei prossimi 12 mesi e in questo quadro cupo ha sottolineato in maniera particolare il profilo e il ruolo del governo di questo paese. Se non ha sbaglio, ha detto che l’esecutivo Meloni sta conducendo un’azione trasformativa profonda del nostro paese: il nuovo patto fiscale, la proposta di premierato, l’autonomia differenziata, il ritorno ad una scuola duale (con una filiera tecnico professionale quadriennale), la delega sulla contrattazione ed il salario minimo- Io credo, lo dico subito, che sia una sottolineatura positiva, importante e non scontata.

Uso queste espressioni perché la CGIL, nel primo anno del governo Meloni, ha avuto una propensione diversa nei suoi confronti. La CGIL, cioè, ha provato a giocare un’opzione, una logica, un tentativo di interlocuzione con il nuovo governo uscito dalle elezioni anticipiate, il primo da oltre un decennio con un’ampia maggioranza parlamentare basata su una solida maggioranza politica espressa dalle urne (sebbene non assoluta). Questa interlocuzione, io credo, ha provato anche a rapportarsi con quelle importanti componenti del lavoro che hanno votato questo governo, anche nelle file degli iscritti CGIL. Questa interlocuzione si è espressa nel rifiuto di fare della manifestazione dell’ottobre dell’anno scorso il perno dell’opposizione sociale al governo, nell’esplicita apertura di credito al nuovo esecutivo appena eletto e nel tremendo ritardo (e la particolare scomposizione) con cui si era costruito lo sciopero generale contro la legge di bilancio nel dicembre 2022. Questa interlocuzione è arrivata anche a portare avanti una scelta tremendamente sbagliata, secondo me, come l’invito a Giorgia a parlare al nostro diciannovesimo Congresso. Una scelta che, allora, ci ha diviso profondamente (anche fisicamente, con la nostra scelta di uscire da quella sala durante il suo discorso).

La relazione di Gianna sottolinea con lucidità, come è stato sottolineato in altri interventi, il profilo reazionario di questo governo, la sua azione di cambiamento del paese e quindi la sua pericolosità per i diritti e gli interessi del lavoro. Io penso che sia positivo, molto positivo da una parte che oggi si sia finalmente assunto il ruolo reazionario di questo governo, dall’altro che sia esplicitamente sottolineato come proprio la sua azione ci metta profondamente in gioco nei prossimi 12 mesi. L’insieme di quelle azioni condotte da Meloni (la revisione costituzionale su premierato e autonomia, la definizione di un nuovo sistema fiscale, la divisione di classe della scuola e la delega sulla contrattazione) mettono infatti concretamente in gioco il ruolo e il destino del lavoro all’interno di questo paese e, nei prossimi 12-18 mesi, come ha detto Gianna possono anche rimettere profondamente in discussione il ruolo e la funzione del sindacato. Il modello sociale e la politica economica portata avanti da questa maggioranza reazionaria sono infatti profondamente contro il lavoro. Ed in realtà, mi viene da dire, con Draghi non era particolarmente diverso.

L’attuale gestione capitalistica della crisi presuppone un sindacato sussidiario, subordinato e complice. Dalla Grande Crisi apertasi nel 2006/07, dalla doppia recessione del 2009/2012, infatti, padronato e governo hanno condotto un’offensiva diretta contro il salario globale di classe [destrutturazione del sistema nazionale della contrattazione, revisione del sistema previdenziale, archiviazione del modello sociale europeo e scomposizione dei servizi universali], aumentando orari ed intensità del lavoro. Un’offensiva che ha cercato di coinvolgere il sindacato nella gestione della forza lavoro e di un nuovo welfare professionale (dagli enti bilaterali al Trattamento Economico Complessivo, comprensivo di sanità e servizi sociali contrattuali). La Cisl ha fondamentalmente scelto di aderire a questo modello. Lo ha fatto da subito, con l’accordo quadro separato del 2009, l’accettazione del modello Marchionne, il rifiuto di scioperare contro il governo dell’ultimo decennio. Questa scelta della CISL, questa sua nuova deriva conservatrice, io credo renda di nuovo saliente una frattura tra due contrapposti modelli sindacali che è storica, che ha radici profonde: una divisione che in realtà risale alla stessa divisione del 1947/49 e che riguarda non solo (e forse non tanto) la guerra fredda, la contrapposizione tra campi politici e partiti che non ci sono più, ma esattamente la concezione del sindacato, tra chi proponeva e praticava un modello associativo che vuole rappresentare la forza lavoro come uno dei fattori della produzione e un modello che vuole essere rappresentativo dell’insieme del lavoro, che difende i lavoratori e le lavoratrici come persone, con i loro diritti assoluti e la loro autonomia anche dai processi produttivi. Come CGIL nell’ultimo decennio abbiamo avuto più di qualche sbandamento proprio sulla tenuta del nostro modello sindacale storico. Però, io credo che proprio questi anni ne abbiano sottolineato l’importanza.

Questa situazione, allora, credo che ci interroghi profondamente sulla nostra strategia. A partire dai problemi e dai limiti che registriamo nella nostra azione sindacale in questa stagione. Io qui, devo dire sono molto d’accordo con la sollecitazione che ci viene dall’intervento di Beatrice [una componente dell’AG]: serve un’analisi, il più possibile franca e obbiettiva, su come siano andati gli scioperi di queste settimane. Serve un confronto nei nostri gruppi dirigenti. Io sono d’accordo con la sollecitazione di Beatrice ma, la metto così, non sono d’accordo con il suo bilancio. Certo, io credo che in qualche modo siano stati sbagliati alcuni toni trionfalisti che ho sentito in CGIL in queste settimane, negli organismi dirigenti e anche pubblicamente. Credo però che sia sbagliato dire semplicemente che è stato un fallimento. Così, si rischia di svalutare lo stesso strumento dello sciopero, si rischia di offrire una sponda a chi pensa che oggi scioperare sia inutile, si rischia di uscirne ancora più disarmati e impotenti.

È importante invece capire limiti e difficoltà degli scioperi, proprio per superarli. Il problema, cioè, è fare un’analisi delle linee di frattura profonde che oggi e nell’ultimo decennio hanno divaricato il lavoro. Linee di frattura che hanno prodotto una significativa difficoltà a generalizzare le lotte e a ricostruire mobilitazioni generali, proprio come abbiamo visto nell’ultimo sciopero. Ma io direi di più: queste sono le difficoltà degli ultimi tre anni, i tre autunni dal 2021 a oggi, con cui abbiamo condotto scioperi generali contro le politiche di bilancio, contro le leggi di bilancio. Tutti scioperi a ridosso della loro approvazione e tutti organizzati in maniera estremamente approssimativa, diciamo così: nel 2021 con lo scorporo di alcuni settori (tra cui noi che scioperammo il 10 dicembre); lo sciopero del 2022 spalmato a livello regionale su una settimana, con la Uil ogni tanto sì, ogni tanto no; questo autunno con lo sciopero scomposto tra categorie e territori, in 5 diverse giornate.

Noi dobbiamo avanzare un bilancio: guardate il primo bilancio che mi viene da fare è che in realtà noi siamo riusciti a confrontarci, ad attivare e a mobilitare solo i settori più sindacalizzati e più attivi e del lavoro. Questo riguarda la nostra categoria e riguarda l’insieme del lavoro. Lo mostrano i dati sull’adesione allo sciopero, nell’Istruzione e Ricerca come in tutti i settori pubblici, che molti qui hanno già citato. Lo dimostra in maniera anche più significativa la partecipazione alle assemblee che hanno preparato questa mobilitazione. A me hanno colpito molto i dati della consultazione CGIL: 1.052.000 di lavoratori e lavoratrici che hanno votato tra settembre e ottobre. Questo risultato il perimetro della capacità di confronto e attivazione in questa fase, un perimetro di massa (quale altra organizzazione riesce a parlare con così tanti lavoratori e lavoratrici?), ma che comunque è metà dei nostri iscritti attivi e 1/5 dei nostri iscritti complessivi. Una difficoltà che è anche della nostra categoria, nonostante lo sforzo compiuto e le oltre 3.000 assemblee svolte [visto che alla fine su consultazione e contratto hanno votato meno di 60mila lavoratori e lavoratrici, meno della metà dei nostri iscritti e una parte sostanzialmente marginale della categoria]. Questi dati ci dicono di una perimetrazione, di una difficoltà che fa parte di questo periodo, e ci pongono la domanda su come superarne i confini. A partire anche dalla scuola: disaggregando alcuni dati da alcune scuole, pur nella loro parzialità mi sembra di notare una tendenza. Io ho infatti l’impressione allo sciopero, come alle assemblee, non partecipino quasi per nulla i precari. Non per un problema di paura, ma per un problema di distanza dal sindacato, anche se sono iscritti per le tutele individuali.

Allora, davanti a questa situazione, io credo che il punto sia come proseguire. Io credo, cioè, che abbiamo di fronte il rischio di un vuoto. La CGIL discuterà il prossimo 18 e 19 gennaio, si parla di referendum o di leggi di iniziative popolari, ma ad oggi non mi pare sia in campo un ragionamento concreto su come articolare e proseguire la mobilitazione. Al di là del positivo sciopero dei servizi, del commercio e del turismo di oggi, il primo di tutto il settore da moltissimo tempo, non c’è la spinta a sviluppare iniziative e scioperi di settore. Noi, come FLC, abbiamo avuto qui la proposta di sviluppare nei prossimi mesi l’iniziativa della Carovana contro l’autonomia differenziata (il camper che sta girando il paese) e di tenere una nuova campagna straordinaria di assemblee, arrivando con 9.000 appuntamenti in ogni scuola, università, istituto ed ente dei nostri settori. Io penso che siano due proposte giuste, perché si pongono il problema di spiegare le nostre ragioni e discutere con lavoratori e lavoratrici, due proposte importanti, ma assolutamente insufficienti. Anzi, incomplete.

Senza l’orizzonte e l’indicazione di uno sciopero, senza un punto di caduta e prosecuzione dello sciopero contro la legge di bilancio, rischiano cioè di disperdere il nostro impegno e quindi di vanificarlo. Di più: io credo che la proposta, formalizzata dalla segreteria nazionale nell’ordine del giorno che voteremo nel pomeriggio, di arrivare fino alla fine di maggio con le due campagne (camper e assemblee), sia una proposta che sostanzialmente sia diretta a traghettarci all’estate e quindi poi all’autunno. Così, senza indicare e programmare sbocchi, trascinando il suo percorso sino all’estate, credo cioè che sia sostanzialmente una proposta che conferma e rilancia il rischio di un vuoto. Anche perché l’insegnamento che abbiamo avuto in questo autunno ci viene proprio dai limiti e dai problemi di una grande campagna di assemblee separate dalla mobilitazione. Abbiamo infatti tenuto le assemblee a settembre ed ottobre, a 1 o 2 mesi di distanza dagli scioperi, senza ancora una data, senza neanche la sicurezza e la concretezza dell’iniziativa. Questo non ci ha aiutato: né nelle assemblee, né nella concreta costruzione dello sciopero. Riproporre questa primavera una campagna di assemblee di consultazione e discussione, sospese nel vuoto, credo sia un errore.

Chiudo: io credo che noi dobbiamo darci oggi esplicitamente l’ipotesi, l’obbiettivo, di costruire uno sciopero nazionale dell’Istruzione e della Ricerca prima della prossima primavera. Antonio [Grassedonio, RSU del Politecnico di Torino] ci ha mostrato il peso dell’inflazione e della perdita salariale di questi mesi, di questi anni. E Antonio, se non sbaglio, ne ha esplicitamente ricordato la necessità. Per recuperare salario, è necessario oggi ricostruire una specifica mobilitazione. Per esser concreta, per provare, cioè, ad incidere realmente nella programmazione delle politiche economiche del paese, questa mobilitazione deve portare in campo lavoratori e lavoratrici prima che sia definito il nuovo DEF (cioè, prima che siano definiti obbiettivi e saldi sostanziali delle nuove politiche di bilancio, che oltretutto come segnalato da Gianna saranno condotte nel quadro del nuovo Patto di Stabilità, nella logica di nuovi sacrifici e rinnovata austerità). Serve allora porsi l’obbiettivo politico sindacale di arrivare a costruire uno sciopero nazionale, possibilmente con tutti gli altri sindacati di categoria, entro la prima metà di marzo: la campagna di assemblee, in particolare, penso che quindi non possa andare fino a maggio, ma debba essere concentrata a gennaio e a febbraio.

Qui l’ultima cosa, 10 secondi: io credo che da questo punto di vista ci sia una sollecitazione che noi dobbiamo fare direttamente alla CGIL. È necessario definire rapidamente le rivendicazioni salariali della stagione. Non possiamo pensare di definire una nostra piattaforma contrattuale dopo il DEF, chiedere i soldi del rinnovo 2022-24 quando già si sono chiusi definitivamente gli spazi della programmazione economica, giù oggi fortemente compromessi da questa legge di bilancio, con la sua previsione del 5,78%. Discuteremo oggi, alla fine di questo confronto generale, dell’ipotesi di rinnovo della Formazione Professionale. Però, in questa discussione specifica emergono problemi che sono generali: la positività di un rinnovo dopo anni e anni senza contratto, tanto più in un settore disarticolato e complesso come quello (in cui pure ci sono contratti pirata), come la possibilità di riconquistare finalmente un rinnovo 2+2 (quadriennale con rinnovo economico biennale), vede il problema di un profondo arretramento sull’orario e di un aumento limitato al 2024 e 2025, del 5,3%. Questo rinnovo salariale, cioè, rischia di dare per assunto la perdita di oltre un 15% del salario, mangiato dall’inflazione nel biennio 2022/23. O, peggio, rischia di far passare la logica di un’ulteriore divaricazione del ventaglio salariale e delle diseguaglianze, con alcuni settori che contrattualmente tengono il proprio potere d’acquisto in questi anni (vedi i bancari), altri che lo recuperano solo parzialmente (vedi i metalmeccanici), altri che vedono perdere totalmente il recupero dell’inflazione negli anni del picco (vedi la Formazione Professionale). Per questo, io credo, dobbiamo definire rapidamente la nostra piattaforma, chiedendo alla CGIL uno sforzo confederale e generale per una difesa universale del salario reale di lavoratori e lavoratrici. Ne va, proprio come sottolineato da Gianna nella sua relazione, della capacità di tenuta delle ragioni e del ruolo di un sindacato generale in questo paese.

Luca Scacchi