Istruzione e ricerca: la situazione non è più sostenibile.

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LA SITUAZIONE NON È PIÙ SOSTENIBILE.
SCIOPERO SUBITO! LAVORATORI E LAVORATRICI HANNO BISOGNO DI SALARIO E DIRITTI!

Per contrastare trasformazione neoliberiste e politiche reazionarie serve aprire con coerenza e determinazione una stagione di conflitto.

L’istruzione e la ricerca sono al collasso. Il profilo pubblico e universale di Scuola, Università, Alta formazione artistica e musicale, Enti di ricerca è stato logorato da oltre vent’anni di controriforme: dalle iniziative di Ruberti e Berlinguer a quelle di Moratti e Gelmini; dalla Buonascuola di Renzi alla revisione degli enti di ricerca nel 2007. Controriforme che hanno imposto una gestione aziendalistica con:

  • autonomia competitiva [differenziando obbiettivi, strategie e condizioni di lavoro tra atenei, enti e istituzioni; centralizzando il controllo attraverso sistemi valutativi di indirizzo come Invalsi e VQR];
  • concentrazione di poteri nei dirigenti [DS, Rettori e DG, Presidenti e Direttori];
  • precarizzazione strutturale [nella scuola ¼ del personale, nell’università si sono moltiplicati gli atipici, mentre in Ricerca e Afam l’azione sindacale ha permesso di ridurla negli ultimi anni];
  • verticalizzazione del personale [rendendo piramidali gli organici in università, differenziando rapporti di lavoro e stipendi attraverso premialità, salari di risultato, funzioni e specificità].

Nonostante grandi movimenti, resistenze e contraddizioni [dalla Pantera all’Onda; dall’opposizione allo scalone di Berlinguer alle mobilitazioni contro Moratti e Gelmini, dallo sciopero 2015 alle iniziative contro Invalsi e VQR] abbiano spesso deviato queste controriforme, la scure dell’austerità ha agito sul corpo vivo dell’istruzione e della ricerca. Così, la scuola oggi si dibatte tra scarsità di posti alle materne, degrado degli edifici, sovraffollamento delle classi, vuoti nel personale ATA, docenti precari, burocratizzazione dei compiti; l’università si è disarticolata (perdendo risorse, studenti e personale, in un decennio perduto che ha favorito alcuni a spese di altri, con regolamenti per i docenti e stipendi per il PTA sempre più diversificati); gli Enti di ricerca non hanno mai trovato coordinamento e politiche di sistema, mentre si cerca di funzionalizzarli divaricando sempre più la loro gestione tra i diversi ministeri; gli AFAM hanno in controtendenza stabilizzato e statizzato diverse realtà, ma li si vuole oggi ingabbiare nella logica di un autonomia ancor più radicalizzata sui direttori. Il PNRR ha rilanciato tutto questo, non intervenendo su nessuna delle fragilità degli ultimi decenni, ma anzi amplificando tendenze e logoramenti: nella scuola, cavalcando il digitale che amplifica le autonomie, controlla l’insegnamento, apre spazi a privati ed enti esterni; nell’università, evitando di facilitare gli accessi (a partire dai costi di frequenza), focalizzando le risorse sul diritto allo studio nell’housing privato, costruendo (insieme agli enti di ricerca) fondazioni e progetti rivolti all’apparato produttivo, gonfiando un’ulteriore  di un ulteriore bolla di precariato.

Il governo Meloni non ha intaccato queste tendenze, anzi le ha rilanciate con un’impostazione autoritaria, gerarchica e classista, propriamente reazionaria. Valditara non ha solo costruito il suo profilo sulla disciplina e la punizione, ma sta promuovendo un nuovo tentativo di diversificazione delle funzioni e degli stipendi della docenza [vedi il docente esperto, il tutor e l’orientatore], guardando al nuovo modello trentino [ruoli strutturali di docente, docente esperto, docente ricercatore e docente organizzativo]. Nel contempo, ha ridisegnato la filiera tecnica-professionale sullo sbocco negli ITS, ibridando la scuola pubblica con personale e funzioni private, delineando così la re-introduzione di un modello duale, gerarchico e fortemente classista, come quello tedesco. Nell’università, i silenzi della Bernini sono invece funzionali al dispiegamento di un sistema sempre più centrato sull’autonomia competitiva fra atenei, enti e istituzioni, in un settore che rimane marginale nel quadro di una nuova attenzione allo sviluppo di una piattaforma produttiva a bassi salari e basso valore aggiunto, nella quale possano esser re-internazionalizzate filiere oggi presenti in Africa o Asia (vedi ipotesi di Confindustria).

Le tendenze neoliberiste e la nuova gestione reazionaria, lungi dal contraddirsi, si muovono allora in sintonia, per stravolgere definitivamente diritti e servizi universali, nel quadro del tentativo di organizzare la società nella nuova stagione di competizione delineata dal conflitto in Ucraina. L’autonomia differenziata, nel quadro di nuove ipotesi autoritarie di presidenzialismo o premierato, sintetizza questi elementi in una disarticolazione territoriale che cristallizza strutture di regolazione sociale diversificate, funzionali alle diverse realtà produttive [rapporti di lavoro, orari, stipendi, rapporto insegnanti/studenti, tipologia di corsi che si flettono sulla base delle esigenze del tessuto economico e delle imprese del luogo]. Contrastare l’insieme di queste politiche, in un passaggio di fase storico che potrebbe ridisegnare le nostre società, è allora il compito principale di un sindacato generale di lavoratori e lavoratrici, aggredendo alla radice i modelli neoliberisti dell’autonomia e i nuovi autoritarismi classisti reazionari.

La FLC e la CGIL stanno però venendo meno a questa responsabilità. La nostra organizzazione è sempre più ingabbiata dalle proprie incertezze, dalle fragilità di una struttura con una rilevante azione di servizio e tutela individuale, dall’abitudine ad evitare lo scontro aperto e far scorrere gli eventi [Monti, Renzi, il governo giallo-verde di Conte o Draghi]. Senza rendersi conto che proprio l’assenza di una mobilitazione determinata, tempestiva e ripetuta contro Fornero, Jobsact e politiche di bilancio ha contribuito al progressivo indebolimento del lavoro e al governo delle destre. La FLC e la CGIL, cioè, non hanno ancora colto il cambio di fase e quindi la necessità di impegnarsi pienamente, oggi, per contrastare la dinamica reazionaria in corso.

Lo abbiamo visto sul Contratto Istruzione e ricerca, arrivando a siglare un rinnovo in tre tempi (anticipo a dicembre, firma a luglio, sequenze in questo autunno), segnato da aumenti contenuti [non solo molto meno dell’inflazione di questi anni, ma senza recuperare la distanza con il resto del pubblico impiego, tradendo le promesse del contratto ponte 2018], per di più disarticolati regressivamente tra settori [meno del 5% nella scuola, quasi il 7% nell’università, forse il 10% per alcuni nella ricerca]. Un contratto che, nonostante aspetti positivi [i permessi per i precari, il GLO, le carriere alias], introduce nella scuola elementi negativi, come il pagamento della formazione forfettario nel MOF (che di fatto nega il principio della sua retribuzione); l’inserimento di tutor e orientatori, portando nel contratto la diversificazione salariale e di funzioni impostata dal governo; l’esplicitazione della privacy nella comunicazioni dei DS, di fatto imponendo anche attraverso il contratto l’indebolimento della funzione delle rappresentanze sindacali. Per questo abbiamo votato contro la firma del contratto in Assemblea generale e ci stiamo esprimendo contro in tutte le assemblee.

Lo abbiamo visto sul PNRR, nell’assenza di un’iniziativa rivolta a RSU e territori per controllare e contrastare l’uso di quelle risorse per rilanciare tendenze e processi neoliberali nei nostri settori: l’attenzione, al contrario, è stata rivolta ad evitare sprechi, non comprendendo che proprio il loro uso distorce e la struttura pubblica e universale del nostro sistema di istruzione e ricerca.

Lo abbiamo visto nel corteo del 7 ottobre e nelle vaghezze sullo sciopero generale. Un’iniziativa importante, che nell’impostazione iniziale avrebbe dovuto focalizzarsi contro l’autonomia differenziata e raccogliere su questo un ampio fronte di voci e soggettività. La Via Maestra, invece, si configura oggi come un corteo programmatico, sull’insieme delle proposte CGIL [salario, fisco, legge rappresentanza, pensioni, ecc], su cui (un po’ incongruamente) si chiamano anche associazioni e movimenti. Non è un’iniziativa rivendicativa e vertenziale. Non a caso, ad oggi, ancora nulla si sa dei tempi e dei percorsi dell’eventuale sciopero generale, su cui è stato chiamato un’improbabile consultazione [che presumibilmente si concluderà dopo la sua proclamazione], che a questo punto rischia di posizionarsi ad autunno inoltrato e quindi di assorbire ogni altra iniziativa (quando i saldi di bilancio sono oramai determinati con l’Unione Europea).

Lo abbiamo visto nella mancanza di iniziative di categoria. Ad oggi, per il rinnovo scaduto da due anni (2022/24) non è previsto un euro: per garantire il solo potere d’acquisto, servirebbero per gli statali 25/30 mld di euro [più delle risorse complessive previste per la Legge di bilancio]. Mentre sono ancora aperte importanti partite del CCNL appena siglato (enti di ricerca non MUR, ordinamenti della ricerca, precariato universitario, CEL, ecc). Mentre l’Università, come riconosce la stessa FLC, è attraversata da una nuova emergenza, con la difficoltà ad attrarre studenti e garantire il diritto allo studio. Mentre Valditara porta avanti la sua scuola classista. Quest’autunno ci avrebbe dovuto vedere in piazza, non impegnati in consultazioni e voti sul contratto. Servono scioperi e mobilitazioni di settore, in grado di attraversare e intrecciare l’azione confederale, incalzando sulle nostre rivendicazioni il governo e le politiche economiche. La loro è grave: il dilungarsi dei tempi dell’iniziativa CGIL rischiano di trasformare questa in un semplice posizionamento che cancella lo spazio di ulteriori scioperi di settore, annullando quindi il loro sviluppo sino a primavera.

Serve una svolta. Nell’istruzione e nella ricerca, nelle politiche della FLC e della CGIL. Costruiamola insieme, portando queste richieste nelle assemblee e nella piazza il 7 ottobre, nella preparazione dello sciopero, nella costruzione di una conflittualità sociale di lungo periodo.

Le Radici del Sindacato in FLC